giovedì 9 aprile 2009

A L'Aquila suona la campana

L'Aquila città deserta, colpita al cuore. La tragedia è stata, ora il silenzio. Le strette strade del capoluogo abruzzese sembrano vene dove non scorre più linfa, tutto è fermo. La vita è rappresentata dai veicoli e dalle forze d'emergenza, dai prodi volontari, dai cani soccorritori e dai giornalisti
Ma L'Aquila è atterrita. La quiete, si fa per dire, dopo la tempesta sismica. Ma la terra, in questo caso, è ancora in tempesta, minacciosa.Risalendo via XX settembre, uno degli ingressi del centro, basta alzare gli occhi verso quel che resta delle palazzine pericolanti per avvertire un tremore interiore, un senso d'angoscia direttamente proporzionale ai passi percorsi: più si cammina e più si scorge la distruzione. Sembrano venirti incontro dall'alto, le palazzine, ci si sente degli equilibristi sul filo della totale assenza di controllo. Una prevedibile imprevedibilità. Ci si aspetta qualcosa da un momento all'altro, un assestamento, un sussulto: è una strana vertigine. Non c'è riparo, a ben guardare, tra i vicoli del centro: se c'è da ballare si balla.Un vigile del fuoco penzola da un braccio meccanico di una ruspa e preleva pezzi dei palazzi adiacenti la Casa dello studente, piegata come una torre di Pisa qualunque. C'è concitazione, tra le telecamere e i coraggiosi caschi gialli e rossi. Qualche slargo è rasserenante per tutti, la protezione civile fornisce bottiglie d'acqua, il pomeriggio è rovente. Camminare e respirare significa polvere nella gola più che sulle scarpe. Girano rumors circa la previsione di una nuova forte scossa entro l'una. L'orologio fa le due e dieci però. Ma l'una di notte? Chissà. Non è vero ma ci credo. All'improvviso, con la devastata Prefettura dietro l'angolo, la campana di una chiesa tintinna, sembra un monito per la nostra coscienza di reporter, cioè per la nostra incoscienza. La piazza, per fortuna, è abbastanza grande, o così l'istinto di conservazione fa ritenere. La pattuglia della polizia fa segno di allontanarsi, la terra sta tremando di nuovo. La campana ha suonato, come una sirena, o forse è stata solo una suggestione, ma la terra s'è scossa per qualche altro secondo. Siamo in guerra con la terra, siamo soldatini umani, Davide contro Golia. E allora in pochi istanti Davide diventa anche Achille, “piè veloce”, il passo si allunga senza tregua per guadagnare l'uscita dal girone dei terremotati. Siamo noi il movimento sotto i cornicioni tremanti.La voce del terremoto è un rumore innaturale, è il dondolìo delle montagne intorno, ancora innevate nonostante il sole scottante. E' il fruscìo dei cavi elettrici, è il valzer dell'insegna di un improbabile “Bar Maceria”, il grido «eccolo!» della gente di Coppito, frazione di L'Aquila, dove in mattinata avevamo avuto il primo invito al ballo da madre natura. L'immagine del sisma abruzzese è la moltitudine di tende nei campi di accoglienza, sorte davvero come funghi, di ora in ora, di minuto in minuto. Alcuni, nel proprio terreno, hanno attrezzato una tendopoli “privata” e da lontano vegliano la propria casa, la sostengono con lo sguardo. L'immagine del dramma è l'“incubatrice da campo”, sotto il lenzuolo una bimba, che passa sotto gli occhi di tutti durante la definitiva evacuazione - lettighe incluse, dovessero servire... - dell'ospedale-scandalo di L'Aquila. «Ospedale da campo in fondo a destra», recita un cartello piazzato proprio all'ingresso del non-pronto soccorso. L'immagine dell'incubo è Onna, dove, scuola elementare a parte, non c'è scampo: tra le rovine di una casa spunta un tenace termosifone ancora governato dalla legge di gravità. Il bucato ancora fresco e svolazzante si affaccia dai resti di una finestra. Le automobili sono sotterrate, accartocciate come scatole di tonno: baby seggiolini e ombrelli tra i vetri sono i ricordi intatti di ciò che è stato e che - è l'augurio - tornerà ad essere per i cittadini abruzzesi, sfollati e trasferiti taluni altrove per le cure, che al momento hanno avuto solo il “conforto” dell'invito del premier a recarsi sulla costa armati di crema solare.
Gabriele Fasan
(8.4.09)

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