martedì 5 maggio 2009

Il capitalismo ci vuole schiavi sorridenti. NON FACCIAMOCI CALARE!!!


Il capitalismo ci vuole schiavi sorridenti. Utilizza e diffonde strumenti chimici per aumentare la produttività del lavoro ovviamente a discapito del salario ed a vantaggio degli extraprofitti. Non facciamoci CALARE! Ribelliamoci allo sfruttamento. Scegliamo di continuare a vivere, scegliamo di continuare a combattere!


Il cocco e la bamba
Nel maggio del 2008 Loris Campetti ha pubblicato per il quotidiano “il Manifesto” un’inchiesta a puntate dal titolo: “Quanto «tira» la classe operaia”.
L’indagine ha avuto il pregio di risalire la corrente del pensiero prevalente della sinistra di movimento per metterne in discussione uno degli assiomi: la valenza «antisistema» del consumo di droghe pesanti.
L’inchiesta parte da un dato per i non addetti ai lavori strabiliante: “nel 2008 ci sono realtà industriali importanti in cui addirittura il 50% dei lavoratori si fa di cocaina e, in misura minore, di eroina e di ogni sostanza capace di rendere più tollerabile una «vita di merda»”. [1]
La vita di merda di cui parla Campetti è nella fattispecie quella degli operai dei complessi industriali italiani della Sevel in Val di Sangro, della Fiat di Melfi, dell’Ilva di Taranto e della Ferrari a Maranello.
Lo psichiatra e psicoanalista Emilio Rebecchi nel corso dell’ultima puntata dell’indagine interrogato a riguardo estende la sua riflessione in merito non solo ai lavoratori o a giovani lavoratori ma alla fascia giovanile nella sua interezza:
“Oggi i ragazzi si drogano come noi si beveva il caffè o si succhiava il latte dalla mamma. Per loro farsi una striscia di coca o un'anfetamina è un fatto normale, persino ovvio. Senza alcuna solida motivazione il giovane diventa 'spontaneamente' consumatore. Incidono molto i modelli culturali (la competizione spinta all'esasperazione) e interviene un fatto imitativo. Così come da bambini si vuole andare al Burghy o al Mcdonald's perché lo fanno tutti a prescindere dalla schifezza che ti danno da mangiare, così qualche anno più tardi, con lo stesso atteggiamento, può capitare di farsi di cocaina. Questo segnala la presenza di un vuoto che spesso si tenta di riempire con la droga. E siccome la società è classista, se non hai soldi di famiglia, per pagarti la dose rubi, o spacci, o ti prostituisci»”.
L’interessantissima riflessione di Rebecchi analizza quindi il consumo della cocaina in fabbrica introducendo quindi un ulteriore elemento di approfondimento:
“ammettiamo pure che in fabbrica a spingerti al consumo possa essere una condizione difficile, segnata dalla fatica. La fatica alla linea di montaggio, dove la durata della mansione che si ripete sempre uguale a se stessa è al di sotto del minuto, provoca effetti negativi sulla salute dell'operaio, dolori, lombalgie. Una situazione di questo tipo farebbe pensare che la sostanza adatta ad alleviare la condizione di sofferenza sia l'eroina che è un anestetico e dunque attenua il peso e le conseguenze di un lavoro faticoso. Invece sempre più spesso la droga assunta, anche in fabbrica, è la cocaina. La cocaina è un eccitante, serve ad aumentare la produzione»”. [1]
Cocaina e produzione, un binomio micidiale. Dimentichiamo quindi i lacci emostatici, le siringhe e il degrado periferico corredo classico nell’immaginario collettivo dei consumatori di eroina. L’eroina, droga pesante a tempo determinato, ha lasciato il passo ormai da tempo alla cocaina delle fabbriche, delle discoteche, dei consigli di amministrazione. Socialmente tollerata, interclassista, a tempo potenzialmente indeterminato, e produttiva. Ecco la parola magica: produttiva.
La cocaina aiuta a migliorare la produzione, a produrre di più. La cocaina è la droga degli straordinari: più soldi, più coca, più divertimento. Ti rallegra, ti stordisce e il lunedì ti manda pure a lavorare, per ricominciare si intende.
Puntualizziamo un elemento: non è nostra intenzione criminalizzare in alcuna maniera i consumatori di queste sostanze, lo diciamo con chiarezza per evitare inutili ed imbarazzanti fraintendimenti; ci permettiamo invece di avviare una riflessione collettiva sul vuoto culturale, ideologico ed analitico presente oggi sull’argomento a sinistra. Le criminalizzazioni, le cacce agli untori, le doppie morali le lasciamo tranquillamente ai Giovanardi di turno.
Di fronte ad un fenomeno di massa, non possiamo voltarci dall’altra parte. La cocaina tra i giovani, nelle fabbriche e nelle periferie è un elemento di analisi socio-politico imprescindibile per tornare nel mondo del conflitto reale, per comprendere l’universo valoriale veicolato dai mezzi di comunicazione di massa, per misurare il disagio sociale crescente.
Nella percezione comune di grandi e piccoli la coca come le pasticche e le anfetamine sono sostanze “gestibili”, gli studi anche quelli più rigorosi svolti da operatori sociali irreprensibili non valgono mai come le parole dell’amichetto o del collega.
La cultura de “nella vita bisogna provare tutto”, i modelli mediatici dei Lapo o dei Flavio Briatore, l’affermazione sociale a tutti i costi, il disprezzo per i più deboli, il mito del self-made-man. Eccoli i valori della nostrana società capitalista, ne è estranea la coca? Cosa è la coca? Individualismo, egoismo sociale, miti produttivisti?
Ci permettiamo di riprendere uno spunto di approfondimento di alcuni compagni e compagne pugliesi:
“Il bere, il fumare sono azioni che di per sé non fanno male a nessuno, neanche alla "rivoluzione". Ma l´estetica dello sballo, il ricercare quotidianamente un anestetico per addormentare le coscienze, significa sventolare bandiera bianca sulla trincea dello scontro di classe. Bisogna allarmarsi e ragionare sulle conseguenze alle quali queste abitudini ci portano.” […] “Le piazze stracolme di seguaci del dio sballo suscitano la rabbia propria di chi assiste ad una generazione che si annulla. I porti sicuri dove approdare per dedicarsi all´ebbrezza molesta sono intollerabili per chi ci vive e vede le sue libertà mortificate e prevaricate dalle liberta di chi vuole passare un´altra serata anestetizzato. Quando poi questi luoghi coincidono con quelli dove bisognerebbe lavorare per far crescere la coscienza e non assistere impassibili al suo assopimento, allora la rabbia si trasforma in sconforto.”
La campagna “No alla Coca” non vuole quindi criminalizzare i consumatori, vuole semplicemente rendere più consapevoli dei rischi reali i consumatori, mettere in luce la falsa valenza antisistema delle droghe pesanti ed avviare un piano di confronto collettivo sul ruolo sociale e politico della Cocaina e delle altre droghe pesanti.
Coordinamento Campagna "No alla Coca"

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