mercoledì 23 dicembre 2009

OLIVIERO DILIBERTO: Ampia mobilitazione per garantire i fondamenti della Repubblica - La Federazione è soltanto la prima tappa



A Berlusconi gliene ho dette e gliene dirò di tutti i colori. Ma io parlo di politica e Berlusconi lo voglio sconfiggere sul piano della politica. L’aggressione di Milano è stata un gesto assolutamente deprecabile, e l’ho detto immediatamente.

Un gesto che paradossalmente rafforza politicamente Silvio Berlusconi. Da parte dell’intero entourage governativo e di tanti sepolcri imbiancati, tuttavia, l’aggressione al premier è stato il segnale per intraprendere una strada estremamente pericolosa che punta dritto alla criminalizzazione del dissenso politico e ad imbavagliare le voci critiche nei confronti di Berlusconi e della sua maggioranza. Gli uomini di Forza Italia si sono scatenati nella ricerca dei mandanti politici e dei cattivi maestri, rievocando, anche nel linguaggio, fantasmi del passato, l’ombra del terrorismo, strategie eversive. Il tutto costruito sul nulla, sul gesto folle di un singolo.

Il Ministro dell’interno ha puntato l’indice dritto alle manifestazioni del pensiero, quelle espressamente previste e difese dall’art. 21 della Costituzione.

L’aggressione al premier è diventata un pretesto per mettere nel mirino la libertà di opinione. Il tentativo di colpire la libertà dei siti web, i social network, la dice lunga sulle intenzioni del governo che ha individuato in uno dei pochi strumenti di informazioni ancora libero una falla della gigantesca macchina mediatica che macina consenso per il cavaliere.

Segue immediatamente la libertà di manifestare in piazza. Nelle tante manifestazioni dei giorni precedenti i fatti di piazza Duomo è stata individuata un’altra falla nel meccanismo di consenso. La grande manifestazione antifascista di Milano nell’anniversario di piazza Fontana, le manifestazioni del mondo della scuola, della funzione pubblica e degli studenti a Roma, l’enorme manifestazione del NoB-Day dove c’erano tantissime bandiere rosse, iniziative tutte assolutamente pacifiche, sono state messe all’indice come portatori di odio e violenza.

Dimenticando le tante, pesanti parole che Berlusconi ha pronunciato nei suoi quindici anni di scena politica, rimuovendo quella ferma e secca condanna del Presidente della Repubblica, che condivido in pieno, che nemmeno pochi giorni prima aveva denunciato la “violenta aggressione” alla Costituzione e alle sue fondamenta democratiche giunta proprio dal premier con il suo discorso all’assemblea del Ppe.

Da quando è stato bocciato il lodo Alfano, da quando si stanno stringendo i processi sul cavaliere, a partire da quelli Mills, è stata una escalation contro ogni organismo di garanzia e riequilibrio dei poteri. Adesso si attaccano diritti fondamentali: quello di espressione e quello di manifestare.

Vedremo quale sarà la via legislativa, ma corre l’obbligo di lanciare un “allarme democratico” come, nella migliore storia dei comunisti italiani (con grande senso delle proporzioni da parte nostra), veniva fatto da quei grandi dirigenti quando, nella stagione delle trame oscure e dei servizi deviati, cercavano di mobilitare non solo quel grande partito che era il Pci, ma anche tutte le forze sinceramente democratiche che si riconoscevano nei valori fondativi della Repubblica nata dalla resistenza antifascista.

Ebbene, oggi siamo in quella esatta situazione. Siamo alla vigilia di una fase in cui potrebbe esserci un ulteriore giro di vite in senso autoritario.

Il cavaliere intende aumentare ulteriormente i poteri del premier, concentrandoli sulla sua persona. E’ questo il suo obiettivo quando parla di riforma della Costituzione.

Il tutto in un quadro che vede l’espulsione del conflitto sociale dall’agenda politica, che vede la totale assenza di qualunque politica a favore dei lavoratori, dei cassintegrati e dei disoccupati che aumentano in modo esponenziale in una Italia stretta nella tenaglia della peggiore crisi economica dal dopoguerra ad oggi.

E in un contesto in cui l’opposizione parlamentare oscilla pericolosamente fra un populismo spicciolo e la voglia di riallacciare al più presto un dialogo dal sapore inciucista con il centrodestra.

La strada da proseguire è una sola: mantenere alta la mobilitazione e l’attenzione politica, di tutti i democratici. Serve una sorta di Cln, un comitato di liberazione nazionale, un ampio schieramento democratico che consenta di sconfiggere politicamente questo centrodestra e il suo leader assoluto.

Occorre, inoltre, la presenza decisa dei comunisti sulla scena politica. La costruzione della federazione della sinistra è una tappa importante nella battaglia per la difesa della democrazia e per tenere alti i temi del conflitto fra capitale e lavoro.

Il Partito dei Comunisti Italiani, il nostro partito, prosegue, con la sua organizzazione e le sue proposte politiche, la sua battaglia per la costruzione della federazione e, allo stesso tempo, per l’agibilità democratica, affinché l’involuzione autoritaria nel Paese non prenda una piega pericolosa e affinché i temi del lavoro e dei diritti sociali non cadano nel dimenticatoio travolti dagli interessi personali del premier che ormai offuscano tutto e tutti.

Serve una mobilitazione permanente per non abbassare la guardia, serve una grande vigilanza democratica.


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Lo dice a chiare lettere il segretario dei Comunisti italiani «la federazione per noi è una tappa, non un punto di arrivo, una tappa verso un percorso che ci conduca alla costruzione di un nuovo partito comunista, grande e forte».

E’ un passaggio chiave dell’intervento di Oliviero Diliberto all’assemblea del teatro Brancaccio di Roma che lancia la federazione della sinistra. Un intervento “irrituale”, come lo definisce lo stesso Diliberto.

«Oggi questo è il livello dell’unità possibile, non è un approdo salvifico ma un passaggio nella costruzione di uno strumento utile per stare nelle lotte e nei conflitti». E poi rimarca come il Pdci vede la nascente federazione: «Questa è una scelta indispensabile e, da oggi, irreversibile. Dobbiamo essere in grado di compiere un salto di qualità per vincere le sfide che ci aspettano fuori da questa sala». Non manca una riflessione critica sul percorso sin qui compiuto «le discussioni sulla nascita della federazione sono esasperatamente lente. Le liturgie interne rischiano di diventare un impaccio per la costruzione di un cammino unitario. Questo mentre la società non attende i nostri tempi, serve più determinazione, serve più coraggio, altrimenti rischiamo di diventare autoreferenziali».

Poi Diliberto si proietta in avanti: «Dobbiamo avere il coraggio di coniugare l’innovazione e la tradizione, di cambiare senza rinunciare alla nostra identità. Io sono comunista ed intendo restare tale, ma non voglio che per qualcuno l’essere comunista sia d’intralcio per una ricerca sui nuovi conflitti, per un nuovo anticapitalismo; sono ben lieto di fare questo percorso con soggetti e persone che non si definiscono tali. La parola comunista, tuttavia, non deve essere una gabbia, ma deve essere sinonimo di libertà, nel suo significato originario».

Diliberto si sofferma anche sul modo del fare politica: «Oggi serve rigore, dobbiamo tornare a studiare, a capire le trasformazioni del mondo contemporaneo mettendo al bando sciatteria e vecchie formule. Serve una nuova analisi sul welfare, sulla fiscalità nazionale e globale, sul possibile nuovo ruolo del pubblico per lo sviluppo, sulla crescente finanziarizzazione dell’economia e, nella specificità

tutta italiana, bisogna andare a fondo nell’analisi del rapporto fra economia e malavita organizzata. Queste

sono alcune delle grandi sfide che ci permettono di affrontare concretamente i temi del lavoro in tutte le sue declinazioni». E sull’idea di società aggiunge: «Oggi occorre mettere in campo un’idea di società che parta dal sapere e dalla conoscenza, una strada obbligata per innovare anche le forme della politica».

Diliberto non lascia fuori il tema cruciale delle istituzioni «troppe volte abbiamo dimenticato i conflitti sociali quando siamo entrati nelle istituzioni, per questo serve cambiare anche il nostro modo di operare. E ciò può avvenire solo adeguando analisi e proposte alla realtà» E poi ritorna sulla federazione: «dobbiamo imparare a far convivere culture politiche diverse ma non possiamo ridurci alla sommatoria dei reduci, rischiamo di scaricare sui giovani, e sono tanti quelli che ci stanno seguendo, i nostri vizi e i nostri difetti».

Il segretario del Pdci riprende il tema dell’identità comunista come elemento fondante della federazione: «non nascondiamo che la stragrande maggioranza dei componenti della federazione sono uomini, donne e giovani che si chiamano e si vogliono chiamare comunisti, con tutto il rispetto dei socialisti di sinistra e dei neo laburisti che sono i benvenuti fra di noi. Non possiamo avere un futuro se non avremo un solido ancoraggio nelle nostre radici. Innovare è l’esatto contrario del nuovismo. La tradizione non deve essere uno sterile feticcio, ma nemmeno va rimossa; occorre partire da essa per un rinnovamento politico che coinvolga anche i gruppi dirigenti. Servono volti e nomi nuovi che guardino al futuro e non solo agli errori del passato».

Diliberto conclude il suo intervento guadando in prospettiva «io voglio continuare a pensare e a lavorare in grande. Non voglio una piccola nicchia residuale, ma un grande partito, per questo serve rigore, tenacia e impegno. Cominciamo da questo primo importante passo in avanti».

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