martedì 12 gennaio 2010

MAFIA, LAVORO, IMMIGRAZIONE: LE TRE QUESTIONI NAZIONALI NELLA RIVOLTA DI ROSARNO

Negli ultimi fatti avvenuti a Rosarno sono determinabili tre questioni di portata nazionale: la questione mafiosa, che travalica i confini del Meridione fino ad arrivare in Europa passando per il Nord Italia dominato dalla Lega Nord (Gomorra, scritto da Roberto Saviano, lo dimostra); la questione lavoro, che vede attualmente un aumento drastico della cassa integrazione per centinaia di aziende, che portarà ad un aumento vertiginoso della disoccupazione (8,3%, con una disoccupazione giovanile del 26%); la questione immigrazione, attualmente regolata da una legge di 8 anni fa (la Bossi-Fini, emanata nel 2002 proprio dal centrodestra), che si è rivelata totalmente incapace di gestire il fenomeno. Con la loro esplosione è saltata la cappa mediatica che le nascondeva.

Già tre anni fa una comunità immigrata era saltata sulla prima pagina dei quotidiani per sommosse violente: era quella cinese a Milano. Segno che la tensione si sta avvicinando sempre di più al livello delle balenieu francesi, perché l'Italia sta subendo le conseguenze (in ritardo) di un fenomeno tipicamente europeo ed occidentale: l'arrivo di grandi masse di popolazioni da aree più povere del pianeta. Questo flusso, spiegato dai media come somma di volontà individuali che assume dimensioni di massa, è in realtà conseguenza strutturale del sistema, che porta, inevitabilmente, al sottosviluppo.

In altri stati il capitale ha cercato di rispondere a questa sua enorme contraddizione in modo quasi razionale, cercando di evitare il più possibile il conflitto sociale e culturale, non riuscendo comunque ad evitare momenti di crisi come durante le rivolte nelle balenieu francesi , oppure il recente referendum antiminareti in Svizzera. Si è cercato di introdurre comunque manodopera straniera, che ha permesso l'abbassamento dei salari, ma di ricondurla in un'ottica di sfruttamento legale concedendo diritti civili e politici come il voto ed evitando contrasti culturali, vietando ad esempio simboli religiosi nelle scuole.
In Italia invece (complice la natura malata del capitalismo italiano) non è stata adottata nessuna politica al riguardo, credendo di poter gestire il fenomeno semplicemente vietandolo. E così alla Bossi-Fini del 2002 si è aggiunto il reato di clandestinità, le "leggi antikebab" e le ordinanze antidegrado in numerosi Comuni, che hanno aumentato la tensione già di per se destinata ad aumentare. Ieri a Milano, oggi a Rosarno, domani chi sa dove?

I flussi migratori però rimangono, ed al posto del ruolo regolatore dello Stato, subentra la mafia, che li sfrutta a fine di profitto. Una situazione evidente, ma nascosta dalla coltre mediatica che privilegia all' immagine reale dell' immigrato che si spacca la schiena per pochi spiccioli, quella dell'uomo violentatore, magari anche islamico quindi terrorista. Un silenzio complice delle organizzazioni criminali che controllano questo traffico e che non si fanno problemi a tappare la bocca a qualche "negro di merda" che richiede solo la dignità del lavoratore.
Chi oggi invoca la parola d'ordine della repressione è lo stesso che ha contribuito a creare quella rivolta. E' lo stesso che ha nascosto il fenomeno ed ha cavalcato l'industria della paura per essere eletto. Gli immigrati lavoratori di Rosarno si sono fatti sentire dopo anni di sfruttamento mafioso e padronale. E le loro richieste sono state le stesse degli operai della Innse, dell'Eutelia, dell'Alcoa, e di tutte quelle lavoratrici e quei lavoratori che oggi lottano per il loro posto di lavoro: essere considerate persone e non merce.

Matteo Tanzini - Responsabile nazionale immigrazione FGCI

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