Il governo ha ottenuto l'approvazione del così detto decreto sull’apprendistato che norma questo tipo di contratto per i giovani lavoratori.
Questa forma contrattuale ha avuto anche aspetti positivi, gli apprendisti hanno un grado molto maggiore di stabilità rispetto ai precari e maggiore facilità di assunzione a tempo indeterminato alla fine del percoso. In una fase in cui stiamo ottenendo solo arretramenti sulle tutele sul lavoro, cresce la precarietà e diminuisce l’occupazione, non è cosa trascurabile.
Tuttavia non è certo esente da difetti e questo decreto peggiora la situazione.
Andiamo subito al punto dolente, l’ultieriore abbassamento dell’età utile per iniziare a lavorare: 15 anni per il decreto. Un’età inferiore all’obbligo scolastico per una attività che sostituirà lo studio per catapultare i ragazzi nel mondo del lavoro.
Certo il governo si è affrettato a citare il valore “altamente professionalizzante” dei percorsi formativi sui posti di lavoro d’eccellenza.
Ciò che non dicono è che questo tipo di contratto riguarda per la stragrande maggioranza, quasi la totalità, apprendisti commessi, baristi, segretarie, contabili e via dicendo, attività in cui occorre certo una professionalità ma nelle quali questa non sostituisce lo studio scolastico, la formazione culturale di cittadini e dello “spessore” individuale.
C’è da aggiungere poi che da un certo punto in avanti spesso la formazione vera cessa e resta solo un lavoratore uguale per competenza e mansioni ai suoi colleghi, ma con un contratto e una paga peggiori.
Non voglio eludere l’obiezione che mi è stata fatta spesso in questo contesto: perché non mandare a lavorare quei ragazzi e ragazze “zucconi” che non ne possono più di stare in classe a 14-15 anni, non studiano e aspettano solo di essere sbattuti fuori a forza dal sistema scolastico?
Ma allora io chiedo, in base a quale principio costituente a 15 anni se non si studia con profitto si deve PER FORZA andare a lavorare? L’obbligo scolastico è stato chiamato così non a caso. Che ti piaccia o no sei obbligato. La società si prende del tempo che ritiene ragionevole per non darti obblighi produttivi immediati e prova a darti (teoricamente) la migliore formazione. Che serve non solo per il futuro da lavoratore ma per il futuro da persona in generale.
Perché cittadini meglio formati, ai quali una scuola di qualità abbia dato gli strumenti per essere duttili, capci, autosufficienti anche intellettualmente per affrontare il mondo e migiorarlo, sono anche lavoratori più garantiti, meglio adattabili al mercato e più capci di tutelarsi.
È davvero così indispensabile rubare a questo tentativo uno, due, tre anni?
Indispensabile per chi? Non per i ragazzi, non dovrebbe esserlo per le famiglie, l’educazione obbligatoria DEVE essere gratuita. Lo è diventato forse per le brame della classe imprenditoriale?
Eccoci. Continua la folle corsa verso il 1800 del sistema Italia (saranno contenti quelli che anche a sinistra volevano “superare” il ’900). Dopo la rifioritura del caporalato col lavoro interinale e precario in genere, ora torniamo indietro sul lavoro minorile, mandando ragazzini sul fronte del lavoro per accrescere la platea di riservisti.
Lavoratori che forse avranno un percorso inizialmete meno minato di quello dei precari ma che punta anche a renderli ancora più “dipendenti”. Dipendenti dall’azienda o dall’attività commerciale che li “forma”, unica padrona della loro carriera (se cambi posto di lavoro ricominci da capo l’apprendistato), dipendenti dal sistema in cui vengono inseriti nel capire le regole, le norme, i loro diritti.
A 15 anni quante ore di educazione civica avrai mai fatto in classe?
Solo pochi anni fa discutevamo di innalzare l’obbligo scolastico a 18 anni, era quella la strada, anche per uscire dalla crisi industriale e occupazionale. Investire sulla formazione, la cultura, la qualità. Lavori migiori per lavoratori migiori e viceversa.
Oggi invece ci tocca sentire gli ennesimi ottusi apprezzamenti della Gelmini per il buon operato del governo; ulteriore dimostrazione della spregiudicatezza quasi malvagia dei capofila di questo governo. Un ministro dell’istruzione che deprezza a tal punto il sistema che dovrebbe presidiare da plaudirne lo smantellamento (opera non certo sua, ma la responsabilità sì) e il plateale fallimento nel formare cittadini.
Alessandro Squizzato - Responsabile nazionale lavoro FGCI
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