Il ddl lavoro approvato il 20 ottobre scorso dalla Camera e divenuto legge è l’ennesimo strappo padronale per la cancellazione dei diritti sul lavoro come li conoscevamo.
Rientra in un quadro preciso già delineato da tempo, che è partito dalla cancellazione a inizio legislatura delle norme per la sicurezza sul lavoro, è passato per le deroghe al contratto nazionale delle tante Pomigliano d’Italia, guidate dall’azione aggressiva di Marchionne e giunge ora anche a questa tappa.
Il “collegato lavoro” divenuto legge tra le proteste e le segnalazioni di incostituzionalità della CGIL e la soddisfazione (tanto per cambiare) di CISL e UIL infatti contiene due provvedimenti che si inseriscono perfettamente nella visione autoritaria e ottocentesca del lavoro che sembra animare la nostra classe padronale.
L' arbitrato.
Le controversie sul posto del lavoro (escluso il licenziamento) potranno essere risolte in arbitrato anziché per via giudiziaria, però questa scelta dovrà essere presa dal lavoratore prima che insorga la controversia stessa. La decisione dovrà essere presa dopo il primo mese di lavoro o alla scadenza del periodo di prova. Questo significa porre i lavoratori in condizione di ricattabilità, facendo loro firmare al buio e in un momento delicato del loro inserimento in azienda la rinuncia ad impugnare i propri diritti in tribunale.
L' abbassamento dell’obbligo scolastico in favore dell’apprendistato.
Ancora più retrivo forse è il provvedimento sull’apprendistato, che riporta davvero il nostro paese culturalmente e socialmente indietro di decenni. L’ultimo anno di scuola dell’ obbligo infatti potrà essere sostituito con un anno di apprendistato nel mondo del lavoro, abbassando l’età dell’obbligo scolastico a 15 anni e trasformando potenzialmente dei ragazzini in forza lavoro sottopagata e senza strumenti di auto-difesa.
Insomma, se solo pochi anni fa si stava aprendo un dibattito sulla possibilità di portare l’obbligo scolastico ai 18 anni…in pochi mesi questo governo l’ha ridotto a 15.
Proprio quando si fa più chiaro che le prospettive per la ripresa risiedono negli investimenti sulla ricerca, sullo sviluppo, sull’ avanzamento sociale, chi guida questo paese decide di fare un salto indietro nel tempo verso un classismo ottocentesco, disinvestendo in formazione, contraendo il potere d’acquisto. Il progetto del governo (ministro dello sfruttamento Sacconi in testa) e di Confindustria è l’ opposto delle riforme, è la restaurazione: sempre più un regolamento di conti con la storia delle conquiste dei diritti che ha caratterizzato i decenni della Repubblica e che porterà ad una Italia più povera, in competizione con la Serbia anziché con la Germania o la Francia.
Un progetto di parte, segnatamente di parte, portato avanti da un governo che non rappresenta gli interessi del popolo ma si inserisce nella lotta di classe portata avanti con ferocia oggi dalla classe padronale che ha come scopo principale uscire indenne e possibilmente arricchita dalla crisi.
È anche da questo che traiamo la nostra convinzione, sempre più radicata, della necessità di una ripresa di questa lotta di classe anche da parte dei lavoratori, con maggiore forza e unità rispetto al passato, a partire dall’organizzazione una volta per tutte dello sciopero generale che ha chiesto ormai formalmente la FIOM lo scorso 16 ottobre.
Alessandro Squizzato - Responsabile nazionale lavoro FGCI
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