venerdì 11 novembre 2011

DOCUMENTO PER L'ASSEMBLEA NAZIONALE FGCI 2012

1 DUE ANNI SOTTO LA CRISI: IL PAESE E LA NOSTRA ORGANIZZAZIONE
1.1 L’Italia tra crisi economica e attacco alla democrazia
Nell’ottobre del 2009 alla III conferenza nazionale di Foligno avevamo presentato una analisi della fase politica ed economica che si è rivelata tragicamente esatta.
La crisi di cui avevamo rifiutato l’ambito esclusivamente finanziario, come avevamo previsto, si è protratta nel tempo e ha rappresentato in tutta Europa un motore di involuzione economica e democratica. La crisi delle banche è divenuta crisi degli Stati che ne hanno pagato i debiti, trasformando debito privato in debito pubblico. La crisi è ricaduta sulle spalle di lavoratori e lavoratrici, studenti, pensionati che hanno subito le politiche di austerity imposte dalla istituzioni economiche. Nel nostro caso la BCE.
Queste dinamiche hanno messo in una evidenza tutta nuova il progressivo deficit di democrazia che gli Stati stanno vivendo. Dalla ricetta europea imposta alla Grecia sino alla perentoria lettera di Draghi e Trichet al governo italiano, abbiamo visto decidere il destino di migliaia di donne e uomini da istituzioni non elettive, non politiche, e soprattutto non democratiche, ma diretta espressione degli interessi finanziari.
Con una partigianeria molto poco “istituzionale”, ciò che la BCE sta imponendo è una gigantesca
“socializzazione delle perdite” dalle banche verso gli strati popolari, per recuperare nel breve termine una situazione di crisi che verrà rimandata, per l’ennesima volta, al medio e lungo termine. Colpendo i consumi e ignorando (o meglio, lasciando al caso) gli investimenti sull’innovazione e la ricerca - e quindi sul sistema pubblico dei saperi - si lanceranno gli Stati come l’Italia e la Grecia in una spirale depressiva che segnerà per decenni le condizioni di vita e di lavoro delle nuove generazioni.
Un destino di dumping sociale che getterà il nostro paese in una posizione ingestibile nella spartizione
internazionale del lavoro, incompatibile con il costo del lavoro dei paesi in via di sviluppo (a cui vorrebbero ridurci) ma troppo distante da quella delle economie avanzate come Francia e Germania.
Se l’inaffidabilità del governo Berlusconi, sempre più intrappolato dalle spire del malaffare e dei guai
giudiziari del capo, non ha accontentato i poteri forti abbiamo tuttavia assistito al consolidarsi di una
alleanza tattica e ideologica: quella con i settori più reazionari e pirateschi dell’imprenditoria, rappresentata plasticamente dall’asse Sacconi-Marchionne, in antagonismo anche a Confindustria.
Dal 2009 ad oggi la legislatura a guida PDL e LEGA si è ridotta ad un feroce attacco agli assi portanti della struttura progressista del nostro paese: i diritti del lavoro, il mondo dei saperi, la qualità della
democrazia.
Nel campo del lavoro e dello stato sociale il programma guida del governo è stato la distruzione delle
garanzie sul lavoro conquistate da decenni di lotte operaie, lo smantellamento dell’apparato statale e dei vincoli di legge e costituzionali alla libertà d’impresa (salvo poi volerlo in soccorso con finanziamenti e socializzazione di perdite) e la cancellazione del ruolo storico del sindacato, da rappresentanza di classe e fornitore di servizi sottoposto all’impresa.
Gli attacchi prima verbali e poi sostanziali del ministro Sacconi alla Statuto dei Lavoratori erano partiti con l’annunciare la sua voglia di “riscriverlo”. L’intervento di molti industriali lo ha aiutato a farlo nei fatti sfruttando le situazioni di crisi aziendale per derogare ai contratti nazionali. Non solo FIAT, ma decine di aziende in tutta Italia, forse centinaia, hanno derogato richiamandosi alla situazione straordinaria. In pochissimo tempo gli “una tantum” sono diventati norma e in conclusione sono divenuti l’articolo 8 dell’ultima manovra finanziaria del governo. Una aberrazione legale, la cossidetta inversione delle fonti del diritto, che sancisce che un patto tra privati può ignorare la Costituzione e lo Statuto dei Lavoratori, aggira l’articolo 18 e consente la massima libertà nelle deroghe dei contratti.
Mentre si accumulavano le ore di cassa integrazione straordinaria la disoccupazione saliva quasi al 9% e quella giovanile ad un tragico 28%. Il lavoro interinale è calato, disperdendosi in larga parte nel lavoro grigio e nell’uso improprio dei molti contratti precari. Il “contratto a progetto” è diventato lo pseudonimo del caporalato.
La precarietà è passata da modalità contrattuale a paradigma di vita per un'intera generazione che si vede scippata del diritto al futuro. E' il tratto comune di una generazione che si vuole liberare. La legge 30, anche se da più parti è stata accettata, è stata la causa principale di questo fenomeno: abrogarla deve tornare ad essere una nostra parola d'ordine. E' evidente, tuttavia, che in un Paese in cui 2 milioni di ragazze e di ragazzi sono fuori dai processi produttivi e di studio, i cosiddetti Neet (not in education, employment or training), non può essere l'unica proposta: dobbiamo chiedere una seria lotta al lavoro nero e l'introduzione del reddito progressivo e redistributivo; concettualmente è sbagliato pensare a reddito sganciato da lavoro ma, anche alla luce della crisi, è innegabile che i costi di chi studia si siano scaricati sulle famiglie delle lavoratrici e dei lavoratori. Proponiamo una soluzione limitata nel tempo, fortemente agganciata al principio di progressività contenuto nella Costituzione e abbinata ad una riforma fiscale più equa. In sintesi deve essere restituito, eventualmente anche attraverso una tassazione ad hoc per le aziende che si avvalgono di lavoro precario, ciò che in questi anni è stato tolto.
L’attacco all’istruzione e alla ricerca pubbliche è stato condotto con i colpi della riforma Gelmini, che non ha solo tagliato e licenziato numerosissimi insegnanti precari ma ha anche privatizzato il sapere, secondo uno schema ideologico chiarissimo: ridurre la conoscenza a privilegio, piegare la ricerca ai bisogni dei privati.
Il modello americano che si va affermando infatti, con scuole e università ridotte a fondazioni, con la
possibilità per i privati di sedere nei Cda, piegherà tutto il comparto del sapere agli interessi delle aziende.
Una scelta sbagliata ma anche fallimentare. Senza un investimento su larga scala e con una progettualità sul medio e lungo periodo nel campo della conoscenza infatti non si può sperare alcuna ripresa per il paese.
Il futuro di centinaia di migliaia di studenti è stato ipotecato.
Il clima politico che la destra ha creato per spingere queste scelte reazionarie ha costituito la terza grande crisi del nostro paese: la crisi della rappresentanza democratica.
Il Parlamento, sempre più svuotato delle propria funzione, è ridotto ormai a paravento dell’indisponibilità dell’esecutivo a passare la mano.
Il fenomeno della compravendita di parlamentari avvenuta a partire dall’inverno 2010 ne è stato un segno chiaro e unico nella storia della Repubblica. La corruzione è avvenuta pressoché alla luce del sole e travalicando nella forma e nella sostanza ogni precedente di corruzione istituzionale. Un uomo ricco e potente ha pubblicamente (o con scuse talmente ridicole da non salvare nemmeno l’immagine) acquistato la propria permanenza alla guida dello Stato.
Mai come in quella fase è stato chiaro che questa classe politica non è in grado di rappresentare le istanze di questa generazione.
L’assenza della sinistra e dei comunisti dal Parlamento ha permesso si superassero alcune soglie simboliche ma significative: una su tutte, per la prima volta una dichiarazione di guerra, contro la Libia, senza posizioni a difesa della pace nelle istituzioni. Una guerra neocoloniale in barba all'articolo 11 della Costituzione.
Il dibattito politico generale si è appiattito su un livello infimo, in cui la differenziazione delle idee si è
sempre più sbiadita mentre si è acuita una litigiosità di campo, tutta basata sugli interessi contingenti. Le spaccature non avvengono sulla risposta da dare alla BCE ma su legge elettorale, governi tecnici, spartizione di potere. Una degenerazione che produce anche danni sociali.
L’opposizione sociale si trova pertanto tra due fuochi distinti e tra loro contrapposti: quello del capitalismo internazionale e dei suoi rappresentanti che sta cercando di trovare un nuovo modo di stare in piedi mentre ancora cerca di smaltire la sua ultima crisi di sistema e quello di un governo reazionario e connivente con il malaffare, che con metodi molto più spicci spara ad alzo zero su Costituzione e Statuto dei Lavoratori.
Mentre ci riunivamo nel 2009 gli operai salivano sui tetti per protestare contro le chiusure aziendali che rappresentavano la prima ondata di effetti della crisi. Modi nuovi, originali di richiamare l’attenzione.
Lungimiranti, perché richiamavano l’attenzione di un paese ancora parzialmente imbambolato dai cori delle cicale che chiedevano di pensare ad altro.
Avevamo affermato la necessità di collegare quelle lotte, inserirci in ogni iniziativa che servisse a metterle in rete, caricarle di contenuto e proposta politica per non abbandonarle alla solitudine e quindi alle debolezza della vertenza singola. E allo stesso tempo di unirle alle proteste del mondo dell’istruzione e della ricerca, individuando non solo una parte di richieste comuni (democrazia, presenza della politica) ma anche un destino comune: l’investimento sulla ricerca anche per delineare il futuro industriale del nostro Paese.
È ciò a cui hanno lavorato la FIOM e la CGIL con costanza, nelle numerose mobilitazioni che si sono
susseguite e nella costruzione di un blocco sociale organizzato che va dai metalmeccanici al movimento studentesco, fino ai primi nuclei strutturati di precari che è stato sancito in alcune dati simbolo.
Il 16 ottobre 2010, con la grande manifestazione a Roma e con l'assemblea alla Sapienza del giorno
seguente nasceva il più grande movimento degli ultimi anni, per ampiezza, consapevolezza e radicalità. Un processo che aveva saputo unire la battaglia contro Marchionne a partire da Pomigliano e Mirafiori, contro la Gelmini, la difesa dei beni comuni. Che nel manifesto di genesi dichiarava apertamente la critica a questo modello di sviluppo.
La battuta d'arresto del 14 dicembre, quando Berlusconi ha comprato la fiducia che ancora regge oggi le sorti del Paese, è stata superata con una maturità inedita, che ha permesso di evitare una fase regressiva.
Lo stesso percorso ci ha portato a costruire più avanti la manifestazione contro la precarietà, la prima nella storia d'Italia, del 9 aprile 2011 con il comitato “Il nostro tempo è adesso”, fino alla battaglia referendaria.
La FGCI è stata coerentemente parte integrante di questo processo, partecipando alle fasi organizzative, nelle assemblee, con le modalità di volta in volta più idonee.
L'autunno si è aperto in anticipo, complice una manovra estiva pessima, regressiva e antipopolare, con il grande sciopero generale del 6 settembre.
La recente mobilitazione nazionale del 15 ottobre, cosiddetta degli “indignados”, ha segnato un salto di qualità nello scontro con il governo che ha inserito elementi molto seri con cui d’ora in avanti dovremo confrontarci. Una manifestazione di più di 300.000 persone che ha riunito anime anche molto diverse attorno ad una generale avversione al governo e alle politiche europee di austerity e stata attaccata da alcune centinaia di giovani travisati ed addestrati alla guerriglia urbana che hanno esercitato devastazioni per le strade di Roma ed innescato uno scontro con le forze dell’ordine che ha smantellato il corteo.
Quanto è successo in quella occasione, che approfondiremo in documenti e riflessioni dedicati, ha avuto l’effetto di un potente deterrente verso il movimento che con modalità più o meno spontaneiste aveva dato vita a numerose mobilitazione e ha consentito la reazione del governo e del sindaco della capitale per restringere gli spazi di espressione del dissenso. È con questo scenario che ora ci dovremo confrontare.
1.2 La FGCI: tra rilancio e consolidamento. Il tesseramento e formazione dei quadri
La FGCI c’è, continua a lottare e a radicarsi nei territori e rappresenta ormai poco più di un quarto del
partito in termini di iscritte ed iscritti. Siamo stati presenti nel movimento dell’Onda e in quelli successivi culminati nell’autunno 2010, tra i più intensi degli ultimi decenni; abbiamo contribuito a riempire piazze, sviluppando i nostri punti di vista, autonomi ma unitari, su scuola, lavoro, università, questioni di genere e antifascismo senza cedere il passo a settarismi anacronistici e nuovismi vuoti; abbiamo contribuito a creare i comitati referendari per l’acqua pubblica, spendendo energie vitali e forze non scontate in tutti i comitati referendari che sono stati creati in giro per l’Italia; abbiamo continuato a studiare i fenomeni sociali e politici internazionali, poiché riteniamo che solo dall’internazionalismo delle lotte si possa sviluppare un cambiamento generale delle condizioni di vita dei più deboli, in stretto legame con il WFDY,
l’organizzazione mondiale della gioventù democratica.
Siamo ancora in campo nonostante le sconfitte elettorali subite in quasi tutto il paese: siamo radicati in
tutte le regioni e nella maggior parte delle province. In questi anni abbiamo accresciuto la nostra capacità di fare analisi politica e tradurla in rivendicazione. Non è poco, e non tutti lo credevano possibile dopo la disfatta del 2008. Non sono state poche le difficoltà organizzative ed economiche che ci siamo trovati ad affrontare. Ma abbiamo saputo resistere, e nella tenuta rilanciare la nostra azione. E’ un merito che è nostro diritto sottolineare.
Proprio per questo riteniamo prioritario potenziare il tesseramento, da sempre lo strumento organizzativo principale di un’organizzazione comunista, perché crediamo sia il modo più efficace per radicarsi nei territori, colmando quei vuoti (nella maggior parte dei casi a livello federale) ancora presenti nella nostra organizzazione giovanile. Tesseramento non come fatto burocratico, come stanco rito annuale, ma come culmine di un percorso politico in cui nuove ragazze e nuovi ragazzi conoscono la FGCI.
Togliatti alla fine degli anni ’40, nella costruzione del partito nuovo, raccomandava ad ogni tesserato di essere iscritto sempre anche ad un’altra organizzazione, di qualsiasi natura, per moltiplicare la presenza del PCI in ogni campo della vita sociale. Pur nell’impossibilità di replicare quel giusto modello, ravvisiamo l’utilità di portare la nostra voce nelle diverse realtà sociali presenti oggi in Italia in varie forme (da quelle di movimento a quelle culturali e di volontariato).
Pensiamo, allo stesso modo, che sia assolutamente necessario iniziare cicli di formazione territoriali ed uno nazionale. Quest’ultimo deve essere pensato per un numero ristretto di compagne e compagni da individuare in ogni regione tra i più preparati: l'obiettivo è costruire il gruppo dirigente del domani, della FGCI e quindi del Partito. Un progetto che formi le compagne e i compagni secondo un profilo economico, giuridico, storico e politico più approfondito per farne giovani dirigenti. Il ciclo di formazione territoriale, invece, dovrà riguardare due macro-aree, centro-nord e centro-sud, e sarà aperto a tutte le iscritte e gli iscritti. Riteniamo che investire sulle nostre capacità, sulle nostre conoscenze, sulla nostra cultura sia il modo più promettente per rilanciare la nostra azione politica.
2 LA NOSTRA STRATEGIA
2.1 L’unità delle due giovanili comuniste, una scelta non solo organizzativa
Parliamo di unità non politicista, ma di scelta strategica e profondamente politica. La nostra organizzazione nazionale è viva e vegeta e non intende sciogliersi o rendersi subalterna e indistinta. Riteniamo, tuttavia, che vada perseguita fino in fondo l’unità con le compagne e i compagni dei Giovani Comunisti. Veniamo da storie differenti, ognuna delle quali è giusto rivendicare con orgoglio, ma non possiamo basarci solo sul passato per costruire il futuro. La realtà sociale, politica, economica e culturale è oggi più difficile di ieri.
Drammaticamente più difficile. L’unico modo per poter incidere è perseguire l’unità tra le forze comuniste, mettendo in risalto i tantissimi aspetti che condividiamo. Questo è l’assunto alla base della proposta di ricostruzione unitaria del Partito comunista, e lo vogliamo far valere anche per le giovanili dei due partiti comunisti della FDS. Proprio in questa direzione abbiamo costruito gli ultimi tre campeggi estivi insieme ai Giovani Comunisti e abbiamo dato vita all’associazione Alternativa Ribelle (RibAlta), che ha il compito di implementare l’unità tra le due organizzazioni mantenendo una sua autonomia, di azione e di proposta.
Alternativa Ribelle è al contempo l'unica modalità possibile per concretizzare il lavoro che da ormai diversi anni FGCI e GC svolgono insieme su tutti i territori e di coinvolgere diverse esperienze territoriali che condividono i nostri ideali ma hanno sfiducia verso la forma partito.
Abbiamo preso atto che la dimensione dei partiti, seppur fondamentali ('la democrazia che si organizza') non è l'unica che rappresenta le istanze di cambiamento in questo paese. Troppo spesso le nostre organizzazioni, dai livelli di base al nazionale non sono agibili, non sono permeabili a quelle compagne e quei compagni che sono cresciuti nel movimento, che portano avanti istanze di cambiamento e la pensano sostanzialmente come noi. Alternativa Ribelle sarà strutturata in forma di nodi territoriali anche perché proveremo a costruire casematte di resistenza, propulsori unitari di conflitto, che mettano insieme realtà associative, collettivi e singoli che si battono con noi, che probabilmente sono comuniste e comunisti nella pratica ma non lo sanno ancora.
Alternativa Ribelle è anche lo strumento per entrare nei luoghi oggi a noi inaccessibili. RibAlta sarà lo
strumento per costruire luoghi fisici di aggregazione giovanile, in cui ricostruire la socialità, troppo spesso distrutta dall'egoismo imperante; e da questi partire per rilanciare il cambiamento di una società che tiene ai margini la sua parte più giovane. L’unico modo per farlo è ricomporre le tessere del puzzle, aggregare e non disgregare, organizzando il malessere e non lasciarlo allo spontaneismo.
In questi mesi abbiamo collaborato in modo continuo con le realtà sociali più importanti, dalla CGIL all’ARCI fino all’ANPI, dalla FIOM alla FLC, alle diverse realtà studentesche. Abbiamo preso parte e costruito collettivi studenteschi e universitari. Abbiamo dato vita in ogni territorio a comitati e reti contro la precarietà, per i diritti di genere, contro lo svilimento del sapere pubblico. Ci siamo messi in relazione con altri senza perdere la nostra identità, abbiamo collaborato piuttosto che chiuderci nel settarismo. Abbiamo capito che la nostra diversità sta nella connessione politica e sentimentale con i grandi problemi del nostro tempo.
Questa sarà la linea operativa per la nostra organizzazione per affrontare la complessa e frammentata
realtà nazionale giovanile e non solo. Puntiamo a crescere e a rafforzare il nostro rapporto dialettico con la società. Per fare questo i territori devono investire i loro sforzi nella proiezione esterna dell’attività della nostra organizzazione, favorire la partecipazione dei militanti alla vita delle associazione e organizzazioni di massa con cui abbiamo naturali contiguità programmatiche e culturali.
2.2 I giovani e il partito
Il Partito dei Comunisti Italiani è oggi federato con Rifondazione Comunista e il movimento per il Partito del Lavoro all’interno della Federazione della Sinistra, impegnato nella costruzione di una sinistra di alternativa al sistema capitalista e di massa in grado di incidere concretamente nell’agenda politica nazionale sui temi del lavoro, della precarietà, dello sviluppo pubblico e di qualità dei saperi, dei diritti e della loro attuazione, per creare quell’ uguaglianza formale e sostanziale alla base di ogni progresso sociale.
Siamo iscritti ai Comunisti Italiani perché crediamo che occorra ancora in Italia una presenza organizzata dei comunisti in partito non settario, non parolaio e in connessione con le masse popolari.
E perché crediamo che gli obiettivi immediati di questo partito siano ricostruire un partito comunista più grande, unire la sinistra, difendere la Costituzione, sconfiggere Berlusconi e il berlusconismo.
Quando Berlinguer diceva che i giovani sono la speranza più grande per un partito che voglia dirsi
comunista affermava una verità difficilmente contestabile.
Nel corso degli anni la FGCI, complice anche il momento di arretramento dei partiti di sinistra, è divenuta lo strumento principale di radicamento e di consolidamento del partito in molti territori, e questo rappresenta un grande risultato del nostro impegno ma anche una grande questione politica e organizzativa che dobbiamo affrontare.
Infatti in una fase politica difficile e di debolezza strutturale del partito, corriamo il rischio di esporre i
giovani compagni e le giovani compagne a situazioni che ne scoraggiano la militanza o che ne bruciano le possibilità di crescita. Questo sarebbe un grave errore e in passato a volte è stato commesso.
Compito dell’esecutivo nazionale e dei quadri intermedi della FGCI è far sì che ciò non avvenga e che il riconoscimento del lavoro che sempre più spesso la FGCI compie per il partito prima ancora che per sé stessa sia reale e non di facciata.
Allo stesso tempo deve essere nostra cura che i limiti dell’azione politica della FGCI non si confondano con quelli del partito. La giovanile deve essere un ambiente utile al coinvolgimento di nuovi giovani, al lavoro con i movimenti, nelle scuole e nelle università ma anche un ambiente che permetta la formazione di militanti e di una futura classe di buoni amministratori e amministratrici.
Grazie ai nostri margini di autonomia politica e organizzativa, è nostra responsabilità lavorare al
rinnovamento del partito, contribuire all’aggiornamento dell’analisi, a colmarne a volte i limiti o le lacune in una società in rapida trasformazione, anche a tentare di influenzarne l'analisi con il punto di vista della nostra generazione.
Ciò deve essere fatto tenendo sempre presente un principio di “stimolo responsabile”: ovvero assumendo come norma dei nostri comportamenti non la mera critica ma l’assunzione in prima persona quote di militanza e ruoli di responsabilità.
Occorre approfondire l’analisi e la comprensione delle specificità lavorative legate alle nuove generazioni, nelle pieghe del lavoro autonomo, delle finte partite iva, degli stage. Costruire maggiori collegamenti con le realtà organizzate di precari e ricercatori.
Crediamo sia necessario fare uno sforzo inoltre nel campo della parità di genere, perché troppo spesso i luoghi della politica, le nostre sedi, i nostri luoghi di discussione sono poco praticabili, anche sotto il profilo della forma per la sensibilità e della dimensione del femminile.
3 NOTE ORGANIZZATIVE
3.1 Autofinanziamento
L’autofinanziamento è un tema di stretta attualità perché rappresenta una risposta necessitata ad una
grande esigenza, quella che l’iniziativa politica, e più in generale l’organizzazione che ne rappresenta la forma esteriore, possa avere i mezzi economici idonei.
Questo tema è emerso, per la nostra organizzazione, con un certo ritardo, proprio perché è stata la
riduzione delle risorse del nostro Partito ad investire a cascata anche la FGCI.
Avremmo, forse, dovuto gettare le basi per la costruzione di un’efficace rete di strumenti di
autofinanziamento proprio nel corso degli anni in cui abbiamo avuto maggiori disponibilità di risorse, nei quali avremmo avuto il tempo di pianificare, senza fretta, le corrette modalità di declinare l’organizzazione politica, in modo tale da renderla autosufficiente da un punto di vista economico, e quindi capace di “camminare con le proprie gambe”.
A livello giovanile possiamo distinguere due grandi luoghi di aggregazione: da una parte i luoghi
dell’istruzione (scuole e università) e, in misura assai minore, i luoghi di lavoro (altissima, come sappiamo, è infatti la disoccupazione giovanile nel nostro paese), e dall’altra gli spazi sociali.
Se, quindi, noi individuiamo questi due grandi luoghi come il fulcro attorno al quale si intrecciano
dinamiche socio-politiche all’interno delle quali la FGCI può trovare terreno fertile per sviluppare iniziativa politica, è altrettanto vero che, conoscendo le dinamiche che legano l’individuo al luogo, e l’individuo alla pluralità, giungiamo a comprendere come rendere l’iniziativa e l’organizzazione strumento di reperimento di risorse per autoalimentarsi.
Provando ad entrare più in dettaglio, se nella prima categoria abbiamo individuato scuole ed università (ed in secondo luogo anche i luoghi di lavoro) la FGCI deve sviluppare la capacità di organizzare – o in quanto tale o più facilmente attraverso le strutture di movimento o associative attraverso cui opera – eventi, occasioni, che abbiano un taglio più aperto e vivibile rispetto alla forma tradizionale del dibattito/convegno.
La ricerca della partecipazione e della (tendenziale) orizzontalità deve tradursi – a livello organizzativo – nell’organizzazione di eventi che uniscano impegno (attingendo dalle intelligenze degli esponenti del nostro Partito ma anche da tutte quelle personalità della società e della cultura che sono disposte ad intervenire alle nostre iniziative) a momenti ricreativi (concerti, feste a margine di ogni iniziativa politica).
Organizzare feste o concerti connotati come incontri “di parte”, di un’area vasta e quindi non
necessariamente riconducibile solo alla nostra giovanile, che rappresenti un luogo alternativo ai consueti spazi di divertimento generati dal pensiero dominante, ma che sia saldamente nelle nostre mani da un punto di vista economico ed organizzativo, ci aiuta a (ri)costruire un’egemonia culturale perché ci consente di essere portatori di un modello alternativo di vita, che riguarda i momenti dell’impegno ed anche i momenti di svago che ogni giovane ha e deve avere.
Tutto ciò ha delle ricadute positive anche sui nostri stessi compagni che sono portati a vivere la militanza non solo con solenne senso del dovere (che pure non manca e non deve mancare!) ma anche come modo di vivere i propri anni insieme a dei coetanei, condividendo le fatiche ma anche le soddisfazioni, le incertezze ed anche gli svaghi ed i divertimenti.
Ogni incontro politico di carattere e di taglio giovanile dovrebbe quindi, tendenzialmente, contenere uno spazio di divertimento e di ricreazione.
L’altro grande ambito è quello attinente la gestione degli spazi sociali.
Una delle grandi battaglie dei nostri compagni della FGCI deve essere quella di cercare di aprire e gestire, da soli od insieme ad altri, degli spazi sociali che consentano di vivere il territorio.
Gli spazi sociali di oggi vanno a riempire quel vuoto enorme lasciato in Italia dal forte indebolimento dei luoghi di socialità un tempo creati, organizzati e vissuti dalle grandi organizzazioni politiche e sindacali del passato, a partire dalle Case del Popolo.
In questo senso assume un’importanza strategia anche l’uso che può essere fatto di Alternativa Ribelle – Ribalta, che da una parte deve tendere a fare il salto di qualità divenendo soggetto politico forte e
riconoscibile, dall’altra, specie in quei luoghi dove l’unità tra i soggetti che vi aderiscono procede in maniera più lenta o difficoltosa, può comunque essere uno spazio associativo che aiuti i compagni a reperire e gestire gli spazi e gli strumenti anche finanziari che la forma associativa consente.
3.2 Come stare nei movimenti
La FGCI ha compiuto negli ultimi anni una scelta strategica chiara: perseguire una reale e piena internità ai movimenti, cercando di portare i propri contenuti all’interno delle piattaforme di movimento, ed al contempo cercando di far maturare i nostri militanti ed i nostri quadri.
La FGCI, sin dalla nascita, ha dimostrato una maggiore vicinanza ed attenzione rispetto alle forme di
autorganizzazione ed alla tante soggettività sociali che nel corso degli ultimi anni sono proliferate – nel vuoto di rappresentanza politica lasciato dalla scomparsa dei grandi partiti di massa – e che si sono fatte portatrici di vertenze talvolta particolaristiche, che comunque hanno contribuito, specie negli ultimi anni, a costruire una forte opposizione sociale rispetto alle politiche liberiste fatte di compressione dei diritti del lavoro e di tagli allo stato sociale, supplendo così alla quasi totale assenza di una opposizione parlamentare.
Questa maggiore attenzione dimostrata dalla FGCI, rispetto allo stesso Partito, si è accentuata in occasione dell’uscita della debacledel 2008 e della conseguente fuoriuscita della sinistra e dei comunisti dal Parlamento.
Il passaggio del 2008 ha segnato un nuovo modo di vivere la politica, e la militanza, non più “adagiato” sui consueti strumenti di intervento di carattere istituzionale, bensì basato sulla centralità della costruzione unitaria e dell’organizzazione del conflitto sociale in Italia.
Si è venuto a creare un fronte ampio, per molti versi trasversale, costituito da soggettività politiche, sociali, sindacali, che in questi ultimi tre anni hanno dato vita ad un vero e proprio argine che tentasse di contrastare le controriforme delle destre.

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