tratto da : www.pdci.it
«Sono stati anni difficili per tutti, a sinistra. Tutta la sinistra ha subìto sconfitte. Certo, noi comunisti in particolare: negli ultimi 5 anni siamo andati insieme alle elezioni, in modi diversi, dall’Arcobaleno del 2008 alle europee del 2009, al 2013 con la Rivoluzione civile. Tutte sconfitte, ma che dovrebbe interrogare tutti. Io su di me applico il principio di responsabilità. Mi assumo tutto, lascio. Ma non vado a casa. Resto nel mio partito, nella postazione che il partito deciderà di darmi». Dopo 13 anni Oliviero Diliberto, 56 anni, cagliaritano, fondatore del Prc e poi del Pdci, dopo la scissione del ’98, lascia la segreteria del partito dei comunisti italiani. Lo farà nel corso del congresso, dal 19 al 21 luglio a Chianciano Terme. Dove, oltre ad un nuovo segretario, il Pdci lancerà il suo nuovo corso, a iniziare da un’iniziativa contro il presidenzialismo a settembre.
C’è davvero un futuro per comunisti? Fra le sconfitte c’è anche non potersi presentare con il proprio nome, come succede in Francia, in Grecia, in Germania?In Portogallo, sebbene in coalizione, i comunisti sono andati bene. Il punto non è questo.
Qual è? Cosa avete sbagliato?Molte
cose. Primo: in Rivoluzione civile c’erano elettorati non sommabili,
come il nostro con quello dell’Idv. Hanno una vocazione diversa.
Secondo: era una battaglia giusta, tutta impostata sui temi della
legalità, ma parlava alle avanguardie; non è arrivata a chi è colpito
dal morso della crisi. Terzo: la lista è stata un’operazione
verticistica. Quarto, abbiamo pagato il mantra del voto utile; ma questa
almeno non è nostra colpa.
Prima di scegliere la lista di Ingroia puntavate all’alleanza con il Pd. Ci punterete ancora?Il
centrosinistra come l’abbiamo conosciuto in passato non c’è più. Il Pd
ha scelto di fare il governo con Berlusconi, dopo averlo definito per
vent’anni un pericolo per la democrazia. Vedremo cosa succederà al
congresso del Pd. Ma escluderei una loro svolta a sinistra. Eppure la
chiedono tutti, nel Pd. Persino Renzi, il candidato più ‘centrista’, è
contro le larghe intese. Oggi il Pd è collocato sulla linea più
conservatrice della sua storia. Renzi è nemico delle larghe intese, ma
per interessi personali. Noi manteniamo la nostra storica vocazione
unitaria, ma con chi sta a sinistra. Vedremo cosa farà Sel. Comunque
ripartiremo dai contenuti. Nessuna scelta ‘a prescindere’. Alle
politiche abbiamo cercato con tenacia l’alleanza con il centrosinistra, e
invece ci hanno escluso: la loro arroganza è stata anche inettitudine,
visto l’esito. Ma all’orizzonte, per ora, non c’è questa discussione. Io
propongo la riunificazione con Rifondazione comunista e l’unione di
tutta la sinistra. Anche a Sel.
Avete già tentato la strada della Federazione della sinistra, poi vi siete divisi. Ci riprovate?No,
oggi propongo un unico partito. E può funzionare perché in un partito
ci si misura sulle decisioni iscritto per iscritto, e non per quote
stabilite a monte.
Nella
sua storia politica ci sono due scissioni, quella del ’90 dagli ex Pci e
quella del ’98 dal Prc di Bertinotti. Le rifarebbe?Quella
del ’90 era l’unico modo per tenere un’organizzazione autonoma dei
comunisti in Italia, ed era indispensabile: rivendico quella scelta.
Rifondazione, quand’eravamo tutti insieme, era una grande cosa. Eravamo
arrivati all’8,6 per cento, il quarto partito italiano. La scelta di
Bertinotti del ’98, quella di far cadere Prodi, è stato l’inizio della
deriva che ha portato alla scissione e al Prc sempre più piccolo. Siamo
finiti male tutti. Per questo dobbiamo testardamente provare a stare di
nuovo insieme. Però mi lasci dire: un nostro vizio è quello di
rinfacciarci il passato. Sulle valutazioni di quegli anni manterremo
giudizi diversi. Chiedo ai miei compagni e alle mie compagne di guardare
al futuro. A una nuova generazione che non ha le scorie del passato.
La caduta di Prodi del ’98 affibbiò a tutta la ‘sinistra sinistra’ il marchio di inaffidabile.E’
stato superato nel 2006, quando il Prc ha fatto parte della coalizione e
il segretario Bertinotti divenne presidente della camera. Ma poi la
gestione del governo Prodi è stata delirante. Lui non dava le risposte
che chiedevamo, noi davamo l’impressione di rompere le scatole, e invece
chiedevamo l’applicazione del programma. Il governo alla fine è caduto
dal centro, e oggi dalle inchieste sappiamo anche come. Ma in molti
restano convinti che l’abbiamo tirato giù noi.
‘Da Mastella a Diliberto’ è un’espressione emblematica per definire un’alleanza politica sbagliata. Le pesa?In
fondo è vero. Si teneva insieme il diavolo e l’acqua santa. Io ero
l’acqua santa, ovviamente. Ma era un’unione che non poteva reggere, e si
è visto.
Oggi il Prc di Ferrero, cui lei chiede di unirsi con voi, ha in Bertinotti uno dei suoi ‘padri’ di riferimento.Tra
noi e il Prc ci sono differenze. Ma quello che ci unisce oggi è più
forte di quello che ci ha diviso. Siamo rimasti comunisti oggi che
‘comunismo’ è una parolaccia. Ripartiamo da lì. La crisi capitalistica,
la più tragica dal ’29, ci dà ragione sulle questioni di fondo. Ma non
riusciamo a offrire alle famiglie, ai lavoratori più disperati, una
risposta credibile. Ripartiamo dalla contraddizione capitale-lavoro.
Dopo
la separazione da Bertinotti, lei ruppe anche con Armando Cossutta, con
lei fondatore del Pdci. Una coazione a ripetere, dividersi in nome
dell’unità?Io cerco di praticare l’unità. Per come siamo
ridotti rimettersi insieme sarebbe una cosa di elementare buon senso.
Quanto a Cossutta, non ci sentiamo da anni, ma provo un grande affetto e
lo ricordo per quello che è stato: un grande esponente del comunismo
italiano. Anche se da ultimo ha fatto scelte diverse.
Una cosa di cui è fiero e una che non rifarebbe.Non
rimarrei al governo durante la guerra del Kosovo, nel ’99. Una cosa di
cui sono fiero mi è successa qualche giorno fa in aeroporto: due signore
mi hanno fermato e ringraziato perché grazie ai nostri emendamenti
durante l’ultimo governo Prodi sono stati regolarizzati i precari della
pubblica amministrazione. Dare risposte ai bisogni delle persone: questo
è il compito dei comunisti di tutti i tempi.
Daniela Preziosi - il manifesto
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