sabato 14 marzo 2009

LE PROPOSTE DEI COMUNISTI ITALIANI PER USCIRE DALLA CRISI



La nostra utilità, le nostre proposte
Conclusioni di Oliviero Diliberto
Direzione Nazionale "Proposte del PdCI per uscire dalla crisi"


La crisi economica che viviamo in Italia non è ancora il derivato della crisi mondiale. Sta succedendo già di tutto ma il peggio deve ancora arrivare. E mentre nel resto del mondo anche governi di destra stanno intervenendo. Persino Bush, prima di lasciare la carica, ha inaugurato una politica di incentivi, di intervento pubblico negli Stati Uniti d'America, ed in Gran Bretagna hanno nazionalizzato delle banche. Qui da noi non si sta facendo nulla. Non c'è la percezione della crisi. Non si sta mettendo in campo nessuna proposta ragionevole di intervento preventivo per provare a tamponare l'emergenza. Badate: il pericolo è incalcolabile. Se sono vere le analisi degli economisti, si parla, nella migliore delle ipotesi, di qualcosa come 600mila posti di lavoro in meno nel 2009: rischiamo l'esplodere di fenomeni che l'Italia non ha vissuto.
Qualcuno, qui, ha detto abbiamo già vissuto delle crisi economiche. Così come questa no. Perlomeno nella storia repubblicana. Non solo. Tutto questo impatta pure su una crisi che avverto come una crisi della democrazia e delle istituzioni davvero molto seria. Il Parlamento non c'è più. Vorrei che i compagni riflettessero su queste cose. Intanto, perché è un Parlamento di nominati ma, al di là di questo, le leggi approvate sono per il 90% leggi di iniziativa governativa, cioè è il Consiglio dei Ministri che fa le leggi e il Parlamento le ratifica. Sulla giustizia stanno per dare una stretta molto seria, il federalismo è già stato approvato, con l'astensione del PD. Sono saltate le più elementari regole istituzionali, non soltanto della divisione classica dei poteri – Parlamento, Governo, Magistratura – ma anche nell'uso assolutamente disinvolto di qualunque cosa. Pensate all'esercito – che tra l'altro non è più di leva ma professionale – usato in funzione di ordine pubblico. Tutto questo in un clima che, complessivamente, è inquietante, perché se il Governo può fare la riforma della giustizia e incrociare anche un pezzo largo di opinione pubblica è perché è saltato il rispetto dei diversi ambiti. Poi si può essere più o meno d'accordo con la Magistratura, però qui siamo in presenza di fenomeni che definire 'inquietanti' è dir poco.
Un potere politico debole e sostanzialmente rivolto soltanto alla propria autoconservazione, una crisi economica devastante che sta per arrivare. E' da qui che noi dobbiamo partire quando diciamo 'bisogna rafforzare la presenza comunista e dare il senso di una utilità di questa presenza'. Ho trovato mortificante la vicenda dei 'piccoli' che fanno il sit-in, che sgomitano per avere il proprio seggio al Parlamento europeo tutti insieme (Storace, Mastella, Ferrero ed i socialisti).
Il punto per noi è dire: è utile che ci siano i comunisti perché, di fronte a questa crisi, noi siamo gli unici che mantengono una critica radicale, di fondo e di sistema, agli attuali assetti economici e istituzionali. E' per quello che ci serve - serve all'Italia e all'Europa - che ci siano forze così rappresentate. Altrimenti l'opinione pubblica percepisce noi - anche se noi siamo riusciti a smarcarci, siamo stati una voce fuori dal coro - i 'piccoli', come interessati unicamente all'autoconservazione, cioè l'altra faccia dei due grandi che cercano invece di ammazzarci perché vogliono lucrare quanto più possibile.
La nostra utilità sta, per prima cosa, nel fare delle proposte che siano comprensibili e chiare a tutti. Noi, oggi, abbiamo fatto qui una bella analisi complessiva. Proviamo a tradurre queste cose in due parole d'ordine.
Primo, un nostro vecchio slogan, che oggi è d'attualità più che mai: 'Più Stato e meno mercato', che significa delle cose precise. 'Più Stato e meno mercato' significa: fine della stagione dell'ubriacatura ideologica delle privatizzazioni; intervento pubblico nell'economia, l'uso di fondi sovrani, che persino la Francia sta scoprendo, non soltanto la Cina. Se danno soldi alle banche si comprano azioni ordinarie, in modo tale che lo Stato entri come quota anche nei consigli di amministrazione, cioè nella gestione e nella determinazione degli indirizzi. Altrimenti, sono regali a fondo perduto ai banchieri, che sono quelli che hanno creato i fondi tossici.
In questo, noi possiamo dire delle cose totalmente diverse anche dal Partito Democratico. Ho letto, qualche mese addietro, un fondo su 'la Repubblica' di una persona anche di grande valore, Guido Rossi, che diceva: lo Stato resti fuori dalle banche. E perché? Bisogna ricordare, per esempio, che fino a quindici anni fa lo Stato era il proprietario delle grandi banche, prima delle privatizzazioni, e questi rischi i risparmiatori non li correvano.
E ancora, 'Più Stato meno mercato' significa: più interventi nello stato sociale, negli ammortizzatori sociali, nella difesa del salario, affinché riparta la domanda interna. Ma significa anche la nostra proposta di introdurre una tassa patrimoniale, la nostra proposta sulla tassazione delle rendite, la tracciabilità dei conti correnti, ecc. Cioè un pacchetto di proposte socialdemocratiche vere, che hanno anche una loro credibilità perché non sono delle cose di mera propaganda, sapendo che i rapporti di forza per farle oggigiorno non ci sono, ma un domani, cambiando i rapporti di forza, possono essere percepite anche da forze di sinistra non comuniste. Ripeto: questi interventi pubblici nell'economia li stanno facendo da tutte le parti anche i governi di destra.
C'è un secondo corno della proposta: noi dobbiamo rilanciare il tema vitale del 'Sapere'. Fare cioè l'esatto contrario di quanto sta facendo il Governo Berlusconi. Se noi vogliamo uscire dalla crisi, con un rinnovato apparato produttivo e industriale, bisogna investire sul Sapere, sulla Ricerca, sull'Innovazione e, quindi, sulla Scuola e sull'Università. Le due cose si tengono insieme. Noi dobbiamo essere in grado di indicare queste due strade perché, se non c'è l'innovazione e se non c'è una qualità del prodotto nella scena competitiva mondiale, noi siamo destinati, inevitabilmente, ad essere un Paese sempre di più in declino e ricordare che i paesi emergenti, quelli che hanno il Pil crescente, sono quelli che investono parte di Pil più cospicua esattamente nella ricerca scientifica e nell'innovazione. Tutti si riempiono la bocca con questa cosa, dopo di che anche i governi di centro-sinistra non hanno messo risorse adeguate per questo comparto, che invece è decisivo. Quindi, l'intervento pubblico nell'economia per tamponare le emergenze, per creare più posti di lavoro, per dare gli ammortizzatori sociali, mantenendo possibilmente il legame con il lavoro.
Alla luce di questo, farei un ragionamento generale che torna sempre al tema della utilità. Noi sappiamo di essere utili a noi stessi. Il punto è di convincere gli altri. Ben prima di questa crisi, sono ormai 15 o 20 anni che, ad uno ad uno, con la logica del carciofo, vengono cancellati diritti e conquiste e tutele sociali che il movimento operaio e dei lavoratori aveva conquistato in trent'anni di lotte. E' dai primi anni '90: scala mobile, equo canone, privatizzazioni selvagge, riforma delle pensioni, riforma del mercato del lavoro, con la precarizzazione istituzionalizzata, riforma della Moratti, relativamente alla scuola, sino al contratto collettivo nazionale, che viene abolito da quest'ultimo accordo separato. Tutto questo perché è potuto succedere così rovinosamente e rapidamente? Perché, nel '91, si è sciolto il PCI e cioè perché è venuta meno una forza nella società e nelle istituzioni che era in grado di arginare, a livello di massa, una deriva di questo genere. E il Pds, poi Ds, poi Partito Democratico ha interiorizzato le logiche dell'avversario, per cui essere riformisti significava dare ragione ai padroni e chi non dava ragione ai padroni era conservatore.
Con la fine del PCI è finita l'anomalia italiana, quel particolarissimo sistema sociale, economico, istituzionale che faceva dell'Italia un sistema ad economia mista. L'Iri è stata una geniale intuizione, ancorché nata durante il fascismo che, durante il periodo repubblicano, è stata utilizzata come strumento di intervento del pubblico nell'economia privata.
Credo davvero che tra sei mesi noi dovremo riadeguare tutto alla luce di ciò che succederà e che sarà devastante. Domani, andrò alla "Euroalbumina", società che impiega 10mila addetti in Sardegna e che ha deciso di chiudere per un anno gli impianti. Questi lavoratori daranno retta a noi? Non è mica detto. La possibilità che ci sia uno sbocco autoritario della crisi economica e della crisi delle istituzioni - le due cose si tengono insieme - non è campata in aria. Ecco, allora, che torna la necessità che le forze critiche del capitalismo, che noi chiamiamo comuniste, si rimettano insieme per creare una soggettività politica organizzata, un partito, meno piccolo di quello attuale. Noi abbiamo fatto un Congresso. La nostra linea è molto avanzata: vogliamo creare un unico soggetto politico che si chiami comunista, perché in una condizione come quella data è assolutamente grottesco che esistano due partiti comunisti.

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